Il mio Corso di Spagnolo

Le storie di Agnese

 
Anche quella sera Agnese arrivò in ritardo, affannata e leggermente in disordine. Le scocciava sempre moltissimo far tardi al corso di spagnolo, in fondo l’unico che davvero le interessava fra i tre a cui si era iscritta: forse per la competenza dell’insegnante, forse perché apprendere la lingua le stava a cuore davvero, forse per la compagnia piacevole che le altre iscritte le offrivano.
Aveva imparato a poco a poco a conoscere le quattro donne che condividevano con lei da tempo quel piccolo ritaglio di libertà personale.
Ad ammirare l’autorevolezza di Lorena, la docente: la più giovane fra le cinque, eppure la più risoluta e decisa.
A stimare, nonostante le continue schermaglie con lei, la determinazione di Marta, giovane calabrese trapiantata a Varese, ancora intenta a mettere ordine fra le proprie passioni: lo studio delle lingue, la realizzazione di borse artigianali, i viaggi a Fuerteventura.
A osservare la pacatezza e il fermo autocontrollo di Bice, della quale si era ritrovata ad invidiare l’assoluta capacità organizzativa. Casa, famiglia, lavoro, passioni: tutto perfettamente incasellato in un’agenda che non lasciava spazio all’incompiutezza.
A comprendere infine l’ironia di Marina, scrittrice mancata, prestata – suo malgrado - all’insegnamento delle Lettere.
Agnese si era chiesta spesso di cosa fossero fatte le loro vite: da cosa provenissero quando confluivano, puntuali, al corso di spagnolo il martedì sera, a cosa pensassero quando – a lezione conclusa – si ritiravano nelle loro auto, la musica dell’autoradio a fare da sfondo alle loro riflessioni, alle loro speranze o alle loro inquietudini.
I momenti della lezione che apprezzava maggiormente erano quelli in cui alle allieve veniva chiesto di inventare una breve biografia per ciascuno dei personaggi che popolavano il libro di testo. Lei si rivelava sempre la più abile, perfettamente in grado di tracciare ritratti così realistici da far dubitare che fossero anche reali.
In fondo era sempre stata brava con le storie: spesso ne aveva inventate da bambina per evitare punizioni, per cavarsi d’impaccio o per una sorta di legge dell’attrazione: “Se penso qualcosa intensamente, lo attraggo verso di me, faccio in modo che avvenga”, era stato il suo credo per lunghissimo tempo.
Quella sera la richiesta di Lorena era stata precisa: immaginare il vissuto di una donna anziana raffigurata sul libro e raccontarlo in lingua spagnola alle compagne. Agnese aveva come sempre dato il meglio di sé, gratificata dagli elogi che quel gineceo con aspirazioni da circolo intellettuale cittadino aveva subito indirizzato alla sua fervida fantasia.
In pochi secondi aveva immaginato la vita della donna e l’aveva raccontata come se la conoscesse da sempre: le gioie dell’infanzia in un paesino dell’Alta Bergamasca, le sue fatiche di giovane ragazza madre, l’elenco di tutte le sue sofferenze, fino a quella suprema, l’infermità mentale degli anni della vecchiaia.
Aprendo il cancello, mentre rientrava a casa, Agnese ripensava alla piacevole serata trascorsa al corso di spagnolo. Sentiva in fondo di aver sempre più bisogno della sensazione di alleggerimento, quasi di liberazione, che quell’impegno settimanale era in grado di regalarle.
Non appena entrò in salotto, la vide, seduta accanto al caminetto, e la chiamò: “Mamma”. La donna si girò di scatto, distendendo l’espressione corrucciata del proprio volto in un sorriso: “Agnesina, hai finito i compiti? Domani si va a scuola”.
 
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Racconto di Marianna Breglia
Selezione del Concorso letterario Il Cavedio "Il mio corso di..." 2022